Johny Pitts, Afropean: una nuova voce sulla cultura nera

Il lavoro fotografico di Johny Pitts è la dimostrazione di come si possa parlare di un argomento molto sensibile senza ricadere nei pregiudizi.

Gianluca De Dominici
4 min readJun 14, 2021
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Afropean è un termine inventato, che indica, attraverso l’accostamento di due parole, gli africani che vivono tutt’ora in Europa. Il termine, coniato agli inizi anni ’90, è stato pensato da Johny Pitts e dalla sua allora collaboratrice Marie Dalnue.

Nasce inizialmente come uno slogan, utilizzato per introdurre questa nuova concezione delle cultura nera radicatasi nel contesto europeo; oggi è diventato un progetto fotografico, raccolto in un libro e menzionato da numerose testate giornalistiche di rilievo.

Afropean: non è sempre una questione di emigrazione

Sono tempi duri, tempi di cambiamento e di rivoluzioni sociali. Sono tempi in cui non c’è più la pazienza, nessuna voglia, di accettare ancora tacitamente i soprusi di pochi individui. Il razzismo e le ingiustizie sociali sono ora sulla bocca di tutti e c’è chi cerca di farsi sentire: chi con l’uso del mezzo fotografico e chi scendendo in piazza.

Il lavoro di Johny Pitts è perfettamente rientrante nel clima che stiamo vivendo in questo momento e i suoi Afropeans, africani radicati nel contesto europeo, rappresentano la doppia faccia della nostra civiltà: quella che accoglie ed ingloba, senza ripensamenti o tornaconti personali, e quella che si rifiuta, ancora oggi, di accettare l’uguaglianza tra le razze.

L’Europa è un paese che ha da sempre cercato di fare dell’accoglienza e dei pari diritti una delle sue armi più consistenti, ma il lavoro di Pitts ci mostra come persista ancora una netta diseguaglianza culturale tra alcuni paesi appartenenti allo stesso Stato.

Afropean, 2019 © Johny Pitts

Nelle sue immagini troviamo individui apparentemente esclusi, come alieni in un mondo che non gli appartiene, altri teneramente vicini tra loro, come se il periodo del colonialismo fosse solo una brutta storia, da raccontare ai bambini per farli spaventare.

Tutti appartengono ad un unico gruppo: ognuno con le sue esperienze ed ognuno con una storia da raccontare. Gli Afropean non sono solo però persone emigrate o in cerca di salvezza: sono cittadini che vivono da decenni nella nostra regione. Persone nate in Europa e desiderose di continuare qui la loro avventura. Sono medici, avvocati ed artisti. Sono parte integrante della crescita del paese.

Ma allora perché esiste ancora questa diffidenza, questo odio radicato nei confronti di un popolo che sta solo cercando di vivere la propria vita all’insegna del rispetto e della condivisione dello spazio pubblico? Se lo è chiesto Johny, che attraverso una narrazione fotografica pura, diretta ed immersiva, ci mostra la cultura nera, in diverse parti del nostro continente europeo.

Afropean, 2019 © Johny Pitts

Non c’è mistificazione, edulcorazione o qualsiasi altro filtro che potrebbe farci credere che queste persone sono più speciali di altre. Quello che vediamo è normali cittadini, ormai inseriti perfettamente nella nostra comunità. Sono uomini, donne e bambini appartenenti ad un gruppo coeso, ampio, invisibilmente unito da una cultura straordinaria e centenaria, che oggi orgogliosamente può dire di esistere, e di resistere, in un luogo neutrale, dove tutto è possibile e realizzabile.

Perché l’obiettivo del fotografo inglese è anche quello di farci notare come non esista una sola realtà e che ormai il processo di inclusione, in alcune parti del nostro Continente, ha raggiunto uno livello tale da rendere quasi nulla la presenza di una differenziazione razziale nella vita di tutti i giorni. La pelle passa finalmente in secondo piano.

Afropean è inoltre un racconto meraviglioso, a metà tra documento e ricerca sociologica. Il fotografo ha agito attraverso diversi approcci: ci sono ritratti, fotografie di strada e dettagli di oggetti. Tutti descrivono la varietà di una popolazione che è riuscita ad adattarsi ai ritmi europei, ma che non rinuncia, neanche per un solo istante, alle sue origini e alle sue tradizioni. Una visione che potremmo definire ottimistica per certi versi; distopica per qualche reazionario ancora legato ai dettami del passato.

Una bella scoperta che oggi serve a rafforzare l’ideale dell’inclusione e del rispetto della vita altrui, mettendo finalmente da parte quella visione retorica che vede sempre la popolazione di colore schiacciata da un classismo bianco, ancora presente, ma in lenta sparizione.

Immagini semplici, che ci parlano nel profondo del cuore e che ci fanno sperare in un mondo più giusto, più aperto alla vita.

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Gianluca De Dominici

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